La grande abbuffata di Carnevale in Basilicata


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la transumanza di Tricarico

C’è chi fa festa e chi muore: questo l’assurdo gioco carnascialesco del martedì grasso in Basilicata. Per le strade sfilano le varie maschere tradizionali, tra coriandoli scherzi e balli, ci si abbuffa con le tante specialità locali e infine si assiste al funerale di Carnevale che, dal troppo mangiare, schiatta sazio e contento per lasciar posto a Carnevalicchio. Tutti onorano la sua morte con cupa-cupa, troccole, tricchebballacche e organetto, tutti pizzicati dal demone del divertimento, dell’amore e dell’appetito compulsivo… solo una donna piange il povero Carnevale: sua moglie Quaremma, che porterà un lutto di quaranta giorni e poi si vestirà a festa per la Pasqua e la nuova primavera.


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Quaremma piange Carnevalone lungo il corteo carnascialesco

In realtà, non si può dare torto al povero Carnevale. E’ impossibile rinunciare alle mille bontà di questi giorni, quando ancora la carne è la protagonista di tutte le tavole lucane. Non carne qualunque, ma esclusivamente carne di maiale in tutte le salse, in ogni tipo di intestino o di involtino… perché l’uccisione del “sacro porco” è ancora “fresca fresca” ed è impossibile resistere alla tentazione di quel saporito peccato! Catene di salame e squisiti preparati suini sono lo scambio perfetto per attraversare il passaggio dal vecchio anno al nuovo, il più antico “sacri-ficio” per omaggiare il ritorno del sole e garantirsi le prospere riserve fino alla prossima morte di Carnevale.

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Le catene formate e appese della salsiccia lucana (lucanica)

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Il povero Carnevalone, dunque, muore di sazia felicità per aver divorato lo sconfinato banchetto a lui dedicato? Sembrerebbe questa l’ipotesi più probabile. La prova di tale festoso suicidio è nascosta in un’antica filastrocca trascritta da Don Rocco Scazzariello, sacerdote ricercatore e cultore della tradizione orale di Genzano:

La chëndòttë dë Carnëvalë a Inzanë 

Carnëvalë u mmalattalmë së calàvë tòtt la salmë
du mmirë nta la gròtt chë la scusë ch'éra nòtt
e vëdè nòn së putìjë quanta trióschë së vëvìjë.
Cunzëlann u cannanócë së chiëcavë fòrtë e ddócë
óvë, zócchërë e capóntë, subbrëssatë, fréttëlë e óntë
e, pë prëgnëtà la trépp, së gnuttévë séchërë e pépp.
Quarantanë pùuërèdd déss:"Ohimmè chè brótta stèdd
t'haijë pulzatë tótt cósë ià fërnutë mò la iósë!".
Tann stèss u mmaldëcévë e u purchë së stënnévë
murtë, ca vëcinë a u fuchë nòn tënìjë cchió strafuchë.
Së rumpèrnë i ffilë di rrinë e u nchianarnë nta nu traìnë.
U ggërarnë tisë tisë pi stradë du paisë.


La condotta di Carnevale

Carnevale, l’anima dannata, si calò tutta la salma
di vino nella grotta, con la scusa che era notte
e vender non si poteva, quanto vino si beveva.
Consolando l’ugola, ingoiò forte e dolce
uova, zucchero e cavatelli, soppresate, ciccioli e unto
e per consolare la trippa  inghiottì sigaro e pipa.
Quarantana, poverina, disse: “Ohimè che brutta stella
hai pulito ogni cosa è finita ora la festa
Nel momento stesso in cui lo lo maledisse e il porco si distese
morto, perché vicino al fuoco non teneva più da mangiare.
Gli si ruppero i reni e lo issarono su di un traino
lo portarono teso teso per le strade del paese

(“Canti popolari e altri testi di tradizione orale raccolti a Genzano di Lucania”, di Rocco Scazzariello, Appia 2 Editrice Venosa)




Soppressata, lucanica o salsiccia lucana, ciccioli e strutto… che gaudente sacrificio! E poi pasta fatta in casa con sugo di carne di maiale e suoi preparati, proprio come si usa mangiare in tutta la Basilicata e in particolare nel carnevale di Aliano, patria delle maschere cornute. L’apparizione di questi demoni smaniosi, che sfrecciano per le strade armati di “ciuccigno”, il loro fallico manganello, con cui percuotono il desiderio d’amore e di cibo, è sempre accompagnata dai “frzzul”, tipico piatto locale, preparati con un filo di giunco attorno al quale si avvolge la pasta fatta in casa, che poi viene sfilata. I "frzzul" vengono conditi con formaggio pecorino e rafano, radice invernale tipicamente carnevalesca, e cosparsi di ragù di cotica e carne di maiale. Carnevalone insegue i campanelli di bronzo appesi ai mutandoni invernali delle maschere cornute, si lascia sedurre dai coloratissimi cappelli, impreziositi dalle virili penne di gallo, che lo portano all’amore e alla tavola.

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maschere cornute di Aliano

Non ancora sazio, si lancia nella gustosa battaglia tra il dolce e il salato dei ravioli dolci ripieni di ricotta, zucchero, cannella, uova, buccia di limone e conditi dalla forza del sugo di maiale e pecorino di San Mauro Forte. Qui il frastuono dei campanacci lo mandano in estasi e non può fare a meno di inseguire l’amore fra questi enormi e lunghi batacchi e le loro compagne dalle bocche larghe. Un amore consumato fino alla fine, quando si gusta il dolce più ambito del giorno: il sanguinaccio, fatto di sangue di maiale a cui si aggiunge cioccolato, mandorle tostate e tritate, cannella, latte e scorza di limone.

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campanacci di San Mauro Forte

La golosità di Carnevale non ha limiti. Dopo il dolce si ricomincia dal salato. Il “Green Man” locale, il Rumit di Satriano di Lucania, gli offre la sua “pizza chiena”, fatta con farina di frumento, uova, salsiccia, prezzemolo e formaggio a pasta fresca e stagionato. Ma non ancora sazio, vuole l’ultima specialità: la rafanata, la tipica frittata con rafano, patate e strutto.

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il rumit di Satriano di Lucania

Come non cedere alla tentazione di una tale “grande abbuffata”?! Carnevalone, a buon diritto, cede e si concede al pantagruelico banchetto e lì vi muore felice, lasciando la sua eredità a Carnevalicchio: l’anno bambino che crescerà prospero e abbondante fino al carnevale prossimo, quando toccherà anche a lui morire di gusto il giorno del suo martedì grasso.

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Carnevalone morente

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